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Itinerari
Firenze in 7 tappe, da Agata a Plautilla

La città attraverso le storie delle donne che l’hanno abitata e animata

Nobili o popolane.
Sante o “peccatrici”.
Ammirate o nascoste.

Ricordiamo le donne che hanno intrecciato le loro piccole e grandi storie a quella di Firenze, seguendo un itinerario che ne svela le tracce lasciate nei nomi delle strade, nelle targhe dei palazzi, nell’anima della città.

1.
Tappa 1
Agata Smeralda / Ospedale degli Innocenti

L’itinerario comincia da Piazza Santissima Annunziata, presidiata dall’omonima chiesa e caratterizzata dai due lunghi porticati che si fronteggiano: quello appartenente alla Confraternita dei Servi di Maria e quello dello Spedale degli Innocenti, opera neo-rinascimentale di Filippo Brunelleschi.
Fondato nella prima metà del 1400, lo Spedale fu il primo brefotrofio d’Europa, luogo destinato all’accoglienza dei neonati abbandonati. Inizialmente i bambini venivano lasciati nella pila, un’acquasantiera posta all’esterno del loggiato; successivamente venne aggiunta una finestra ferrata e la pila venne sostituita con la cosiddetta Rota degli Esposti, che permetteva di lasciare i neonati senza essere riconosciuti dall’interno.
La prima bambina ad essere accolta fu Agata, il 5 febbraio 1445: “mi hanno chiamata Agata perché quella era la notte di Sant’Agata, e Smeralda per gli occhi, che anche se non ho vissuto a lungo hanno continuato a brillare nello sguardo di tutti i fanciulli che hanno varcato questa soglia dopo di me.” Il resto della storia lo potete leggere qui.

Tra il 1600 e il 1700 l’Istituto iniziò ad accogliere le madri nubili tra le nutrici interne, le addette cioè a prestare le prime cure ai neonati, avviando così una prassi assistenziale anche nei confronti delle donne.
Oggi l’edificio ospita il Museo e Istituto degli Innocenti, oltre ad essere Centro nazionale di documentazione e analisi sull'infanzia e l'adolescenza, punto di riferimento per la promozione della cura dei diritti dell'infanzia.

L’itinerario comincia da Piazza Santissima Annunziata, presidiata dall’omonima chiesa e caratterizzata dai due lunghi porticati che si fronteggiano: quello appartenente alla Confraternita dei Servi di Maria e quello dello Spedale degli Innocenti, opera neo-rinascimentale di Filippo Brunelleschi.
Fondato nella prima metà del 1400, lo Spedale fu il primo brefotrofio d’Europa, luogo destinato all’accoglienza dei neonati abbandonati. Inizialmente i bambini venivano lasciati nella pila, un’acquasantiera posta all’esterno del loggiato; successivamente venne aggiunta una finestra ferrata e la pila venne sostituita con la cosiddetta Rota degli Esposti, che permetteva di lasciare i neonati senza essere riconosciuti dall’interno.
La prima bambina ad essere accolta fu Agata, il 5 febbraio 1445: “mi hanno chiamata Agata perché quella era la notte di Sant’Agata, e Smeralda per gli occhi, che anche se non ho vissuto a lungo hanno continuato a brillare nello sguardo di tutti i fanciulli che hanno varcato questa soglia dopo di me.” Il resto della storia lo potete leggere qui.

Tra il 1600 e il 1700 l’Istituto iniziò ad accogliere le madri nubili tra le nutrici interne, le addette cioè a prestare le prime cure ai neonati, avviando così una prassi assistenziale anche nei confronti delle donne.
Oggi l’edificio ospita il Museo e Istituto degli Innocenti, oltre ad essere Centro nazionale di documentazione e analisi sull'infanzia e l'adolescenza, punto di riferimento per la promozione della cura dei diritti dell'infanzia.

2.
tappa 2
La sposa del vescovo / via delle Badesse

Piazza San Pier Maggiore ospitava un tempo l’omonima chiesa e, annesso a questa, uno dei più antichi monasteri di Firenze, la cui presenza e peculiarità è ricordata oggi nel nome della strada, via delle Badesse. La badessa di questo monastero benedettino aveva infatti un importante e singolare compito istituzionale: accogliere il nuovo vescovo al suo arrivo in città e ricevere da lui un anello, in uno sposalizio rituale, simbolo dell’unione tra il nuovo vescovo e la Chiesa fiorentina. Per questo, con tipica ironia locale, la badessa era soprannominata la sposa del vescovo.
La Chiesa di San Piero Maggiore fu demolita nel 1783-1784 e il monastero venne contestualmente secolarizzato, nell’ambito del progetto del granduca volto a ridurre il più possibile la presenza di istituzioni religiose in città.

Piazza San Pier Maggiore ospitava un tempo l’omonima chiesa e, annesso a questa, uno dei più antichi monasteri di Firenze, la cui presenza e peculiarità è ricordata oggi nel nome della strada, via delle Badesse. La badessa di questo monastero benedettino aveva infatti un importante e singolare compito istituzionale: accogliere il nuovo vescovo al suo arrivo in città e ricevere da lui un anello, in uno sposalizio rituale, simbolo dell’unione tra il nuovo vescovo e la Chiesa fiorentina. Per questo, con tipica ironia locale, la badessa era soprannominata la sposa del vescovo.
La Chiesa di San Piero Maggiore fu demolita nel 1783-1784 e il monastero venne contestualmente secolarizzato, nell’ambito del progetto del granduca volto a ridurre il più possibile la presenza di istituzioni religiose in città.

3.
tappa 3
Le Pinzochere / via San Giuseppe e via della Pinzochere

Una targa e uno stemma posti all’altezza dei numeri 18 e 12 rosso in via San Giuseppe, dietro piazza Santa Croce, ricordano che qui, dal Trecento, fu ubicato il Convento delle pinzochere di Santa Elisabetta in Capitolo, un cenobio di laiche che conducevano una vita monastica senza aver preso i voti: donne che decidevano di cambiare vita dedicandosi alla religione, donne senza appoggio economico dal marito, zitelle, vedove.

Le pinzochere erano così chiamate per il loro abito realizzato in un tessuto grezzo dal colore bigio o bizzo, dal quale derivò il soprannome di bizzochere, poi trasformato in pinzochere.
A loro era affidata la cura della basilica di Santa Croce, alla quale accedevano da una porta laterale, oggi murata, chiamata appunto Porta delle Pinzochere, un accesso quasi nascosto che dette vita a dicerie e pettegolezzi
Il monastero venne soppresso nell’Ottocento.
Al ricordo di queste donne è dedicata la vicina via delle Pinzochere.

Una targa e uno stemma posti all’altezza dei numeri 18 e 12 rosso in via San Giuseppe, dietro piazza Santa Croce, ricordano che qui, dal Trecento, fu ubicato il Convento delle pinzochere di Santa Elisabetta in Capitolo, un cenobio di laiche che conducevano una vita monastica senza aver preso i voti: donne che decidevano di cambiare vita dedicandosi alla religione, donne senza appoggio economico dal marito, zitelle, vedove.

Le pinzochere erano così chiamate per il loro abito realizzato in un tessuto grezzo dal colore bigio o bizzo, dal quale derivò il soprannome di bizzochere, poi trasformato in pinzochere.
A loro era affidata la cura della basilica di Santa Croce, alla quale accedevano da una porta laterale, oggi murata, chiamata appunto Porta delle Pinzochere, un accesso quasi nascosto che dette vita a dicerie e pettegolezzi
Il monastero venne soppresso nell’Ottocento.
Al ricordo di queste donne è dedicata la vicina via delle Pinzochere.

4.
tappa 4
Le serve smarrite / via Parlagio

Rimanendo nel quartiere di Santa Croce si attraversa Via Parlagio (o Parlascio), dove una piccola targa ricorda l’antico e curioso nome di questa strada: via delle Serve Smarrite. La versione più probabile fa risalire l’origine del termine alla presenza qui di una sorta di punto di ritrovo per donne “smarrite” arrivate in città dalla campagna, in cerca di lavoro presso le ricche famiglie fiorentine, come, appunto, “serve”.

Rimanendo nel quartiere di Santa Croce si attraversa Via Parlagio (o Parlascio), dove una piccola targa ricorda l’antico e curioso nome di questa strada: via delle Serve Smarrite. La versione più probabile fa risalire l’origine del termine alla presenza qui di una sorta di punto di ritrovo per donne “smarrite” arrivate in città dalla campagna, in cerca di lavoro presso le ricche famiglie fiorentine, come, appunto, “serve”.

5.
tappa 5
L’Elettrice Palatina / Lungarno Anna Maria Luisa de’ Medici

Nata nel 1667, unica figlia femmina del Granduca Cosimo III e della principessa Margherita Luisa d'Orléans, Anna Maria Luisa de' Medici è stata l'ultima rappresentante del ramo granducale mediceo.
A seguito della morte del marito Giovanni Carlo Guglielmo I, Principe elettore del Palatinato (da qui il nome di Elettrice Palatina), Anna Maria Luisa ritornò a Firenze e vi restò fino alla morte, avvenuta nel 1743, a Palazzo Pitti.

A lei si deve la cessione in mano pubblica del patrimonio artistico della famiglia che per secoli aveva dominato Firenze e non solo: con un atto giuridico, conosciuto come “Patto di Famiglia”, Anna Maria Luisa lasciò allo Stato tutte le collezioni medicee
L’Elettrice Palatina viene ricordata e celebrata ogni 18 febbraio, anniversario della sua morte, con eventi ed iniziative culturali.  

Nata nel 1667, unica figlia femmina del Granduca Cosimo III e della principessa Margherita Luisa d'Orléans, Anna Maria Luisa de' Medici è stata l'ultima rappresentante del ramo granducale mediceo.
A seguito della morte del marito Giovanni Carlo Guglielmo I, Principe elettore del Palatinato (da qui il nome di Elettrice Palatina), Anna Maria Luisa ritornò a Firenze e vi restò fino alla morte, avvenuta nel 1743, a Palazzo Pitti.

A lei si deve la cessione in mano pubblica del patrimonio artistico della famiglia che per secoli aveva dominato Firenze e non solo: con un atto giuridico, conosciuto come “Patto di Famiglia”, Anna Maria Luisa lasciò allo Stato tutte le collezioni medicee
L’Elettrice Palatina viene ricordata e celebrata ogni 18 febbraio, anniversario della sua morte, con eventi ed iniziative culturali.  

6.
tappa 6
Beatrice Portinai / via del Corso

Lo storico e nobile Palazzo Portinai-Salvati si trova in via del Corso, all’angolo con via dello Studio. Se il nome non suona nuovo è perché questa fu la dimora di Beatrice Portinai, quella Beatrice che, secondo la tradizione, fu musa ispiratrice di Dante. Una targa ricorda il loro primo incontro, con le parole dello stesso poeta.

Lo storico e nobile Palazzo Portinai-Salvati si trova in via del Corso, all’angolo con via dello Studio. Se il nome non suona nuovo è perché questa fu la dimora di Beatrice Portinai, quella Beatrice che, secondo la tradizione, fu musa ispiratrice di Dante. Una targa ricorda il loro primo incontro, con le parole dello stesso poeta.

7.
tappa 7
Plautilla Nelli / Museo di Santa Maria Novella

Polissena de’ Nelli, poi conosciuta come Plautilla, entrò nel convento di Santa Caterina all’età di 14 anni e qui, da autodidatta, si esercitò nell’arte della pittura: senza mai prendere lezioni di disegno, senza mai fare da apprendista in una delle botteghe dell’epoca, ma solo copiando altre opere e utilizzando le consorelle come modelle, Plautilla riuscì a realizzare opere grandiose e molto apprezzate.

Viene considerata la prima pittrice fiorentina di cui si conservano opere (sono tre quelle ancora esistenti e attribuite con certezza). La sua Ultima Cena è un dipinto lungo 7 metri e alto 2, con personaggi dipinti a grandezza naturale; un’opera straordinaria, oggi restaurata e ospitata nel Museo di Santa Maria Novella.
Plautilla Nelli morì nel suo convento nel 1588.

Polissena de’ Nelli, poi conosciuta come Plautilla, entrò nel convento di Santa Caterina all’età di 14 anni e qui, da autodidatta, si esercitò nell’arte della pittura: senza mai prendere lezioni di disegno, senza mai fare da apprendista in una delle botteghe dell’epoca, ma solo copiando altre opere e utilizzando le consorelle come modelle, Plautilla riuscì a realizzare opere grandiose e molto apprezzate.

Viene considerata la prima pittrice fiorentina di cui si conservano opere (sono tre quelle ancora esistenti e attribuite con certezza). La sua Ultima Cena è un dipinto lungo 7 metri e alto 2, con personaggi dipinti a grandezza naturale; un’opera straordinaria, oggi restaurata e ospitata nel Museo di Santa Maria Novella.
Plautilla Nelli morì nel suo convento nel 1588.

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